Il Gioco Rubato
IL GIOCO RUBATO
di Miranda Calliari Magni 177 pagine
Nel secondo dopoguerra, Arno Stern, giovane ebreo tedesco rifugiato in Francia, trova lavoro in un orfanotrofio. Non ha alle spalle nessuno studio di pedagogia, non ha esperienza: inizia semplicemente a far dipingere i bambini che gli sono affidati, trova soluzioni perché il loro gioco scorra tranquillo e indisturbato. “Inventa” il Closlieu, un laboratorio di pittura contenuto in una stanza di 4×3, senza finestre, con le pareti tappezzate di carta da pacchi dove appoggiare i fogli e una lunga tavolozza centrale con 18 bicchieri per l’acqua, 18 ciotoline di ottimo colore e tre pennelli (due piccoli e uno grande) di grande qualità. In questo spazio, bambini di tutte le età scoprono anche oggi il piacere del dipingere e del gioco libero e gratuito, senza giudizi, senza voti, senza imposizioni, senza modelli da seguire. Uno spazio affascinante, un’esperienza con risvolti educativi dirompenti. Miranda Calliari Magni, trentina di nascita e bergamasca d’adozione, apre nel 1979 a Bergamo il suo atelier e da allora accompagna bambini dai tre ai 90 anni alla riscoperta del gioco perduto, del piacere del dipingere, della libertà dell’Espressione. Dalla sua trentennale esperienza, dai volti dei bambini che hanno dipinto tra le mura del suo Closlieu, dalla tenace fiducia nell’uomo e nelle sue potenzialità, nasce questo piccolo libro, poetico e tecnico in un tempo. Attraverso i suoi ricordi, Miranda racconta il Closlieu, gli strumenti, i riti, la figura del praticien, il servitore, in un gioco di regole e libertà che disegnano un mondo possibile di armonia, rispetto, accettazione dell’altro. Un libro per chi è alla ricerca di nuovi strumenti per educare, che apre nuovi orizzonti e offre importanti conferme. Magari attraverso una puntina da disegno.
Il libro, stampato dall’Associazione IlSegnoIlColore,
può essere richiesto all’indirizzo mirandacalliari@gmail.com
con un contributo di 10,00 € + le spese di spedizione da pagare tramite contrassegno.
Maria Carla
17/02/2019 @ 10:30
Mi è capitato negli ultimi tempi di riprendere in mano questo libro di Miranda che avevo letto-appena uscito- un po’ frettolosamente…devo riconoscere che è stata una piacevolissima e interessantissima ri-scoperta!
Un po’ come aprire uno scrigno di modeste dimensioni e dall’aspetto poco appariscente che si rivela essere invece qualcosa di prezioso, con incastonate al suo interno piccole pietre , altrettanto preziose: i ricordi d’infanzia dell’autrice (decisamente indovinata, a mio parere, la scelta tipografica del corsivo che porta il lettore ad individuarne facilmente le pagine)!
Uno degli aspetti che piu’ mi ha catturato è stata l’evocazione di una dimensione del tempo che raramente viviamo nella nostra quotidianità spesso frenetica e superficiale: quella di un tempo ‘sospeso’ all’ interno del quale gesti e azioni fluiscono in modo tale da ‘gustarne’ la portata e apprezzarne il valore.
Ed è forse per questo che durante la lettura più volte mi è tornata alla mente la famosa espressione (utilizzata ormai nei più svariati campi) che dice: ” Fermate il mondo…voglio scendere! ” , quasi un’ invocazione dell’ anima a ritrovare ritmi più umani e godibili di vita.
Perché è proprio questo che il libro ci invita a fare:
ricontattare una dimensione più profonda di noi stessi attraverso “il gioco del dipingere” , libero ( come sgranare un cesto di piselli), al riparo da ogni giudizio scolastico o di valore artistico, assorbito esclusivamente dall’impulso di una necessità espressiva che nel mondo del Closlieu si chiama Formulazione (che come un fiume carsico scorre sotto la superficie dei dipinti che nascono in questo luogo).
Grazie dunque a Miranda per tutto ciò che di avvincente ci ha raccontato e fatto scoprire nel suo libro…e grazie anche alle curatrici, Regina Florio e Nicoletta Colombo, che hanno affiancato Miranda in questo viaggio nella memoria e nella sua esperienza di ‘praticien’ !
giacomo
23/02/2019 @ 01:43
Sono del tutto d’accordo con te, Maria Carla.
Miranda parla di cose di cui nessuno parla, di fatti piccoli, umili e che ormai si usa ignorare. Si possono chiamare gioco. Momenti avvincenti, avventure minime, ma grandi, importantissime per chi le vive; momenti in cui, come dici tu, il tempo si sospende, è assente: il tempo del dovere, della fretta, della produttività…
E’ vero anche che questo gioco non interessa più a nessuno perché non è addomesticabile o sfruttabile per qualche “più alto” fine educativo-produttivo.
In effetti la sua natura è inafferrabile, liquida, impregiudicabile, ineffabile.
Non lo si può prevedere, non lo si può sfruttare.
Non serve a niente.
Ma è assolutamente essenziale.
Chi lo rispetta?
Chi lo capisce?
Maria Carla
14/06/2019 @ 12:18
…qualcosa di inutile ma di indispensabile!
È proprio così Giacomo…se la visione che abbiamo dell’ essere umano non si riduce a mera produttività a fini utilitaristici, allora si aprono le porte a quella dimensione spirituale che lo contraddistingue come creatore di pensiero e di linguaggio!
È la dimensione del possibile, sognato e immaginato, e che proprio nel gioco si realizza.